Presentiamo un abstract del lavoro di ricerca della Prof.ssa Mariangela Gisotti sulla figura di Olivelli raccontata da un biografo d'eccellenza. A fondo pagina l'intero documento.
PER UNA POLITICA UMANA: CARACCIOLO BIOGRAFO DI OLIVELLI
«Richiamare e rifare in sé la sua vita»[1], questo l’obiettivo di Caracciolo nel suo incontro e confronto con Teresio Olivelli[2], tale da rendere la biografia dell’amico martire, autobiografia spirituale e biografia di una generazione. Caracciolo si avvicina ai problemi della sua generazione, quella della Resistenza, ma li coglie in un’«intima vicinanza al cuore dell’esistenza»[3]; nel suo pensiero si traduce il messaggio umanissimo della Resistenza, come moto di ribellione che nasce «da una zona dell’anima più profonda rispetto a quella in cui si aggirano e che attingono le ideologie dei partiti»[4].
L’ideale politico ed umano di Caracciolo trova il suo modello proprio sullo sfondo della «religiosa umanità vivente nell’opera eroica e santa»[5] di Olivelli che diventa per lui guida non solo al suo impegno politico e al suo atteggiamento nei confronti della guerra, ma soprattutto al compito di ricostruzione successivo a quest’ultima.
Nella biografia dedicata all’Olivelli, il primo tratto con cui Caracciolo delinea il carattere dell’amico è quello dell’«uomo d’azione nel senso più alto del termine»[6]. E’ proprio questo aspetto a prevalere sulla sua componente umanistica e a fargli scegliere, nell’ambito degli studi universitari, una facoltà tecnica come quella di diritto che meglio rispondeva «al suo urgente interesse per la società, al suo generoso sentimento di protezione del debole, al suo gusto combattivo»[7].
La vitalità e l’attivismo non rimangono, però, allo stato istintuale ma, indirizzati e domati, diventano volontà, sotto la guida di un saldo impegno morale e di una forte coscienza religiosa, la quale rappresenta l’elemento fondamentale dell’uomo Olivelli. Una religiosità intesa come verità vissuta più che pensata, laddove, per Olivelli, vita significa azione e donazione etica che in lui si esprimono come educazione. La sua è una vera e proprio vocazione, che si viene esprimendo come rettore del collegio Ghislieri, nella sua vita politica, durante la prigionia. Anche nell’ora più terribile, egli non rinuncia a farsi promotore di discussioni politiche e sociali, in uno spirito che lo porta a donare agli altri la sua pur misera razione giornaliera di cibo nel campo di concentramento.
L’adesione di Olivelli al fascismo si capisce alla luce di quanto fin qui analizzato: il suo volontarismo domato ed indirizzato dall’impegno morale, il suo sentirsi membro di una comunità, al di là di ogni solipsismo, nel suo incontro con l’altro, la sua predilezione per gli umili e i sofferenti. È soprattutto il suo cristianesimo, coniugato al suo attivismo, che segna in modo più profondo la sua adesione al fascismo.
Quando, sotto l’influsso della barbarie hitleriana, il nazionalismo degenera in razzismo ed il movimento perde quell’aspetto di liberalità che fino ad allora era riuscito a mantenere, l’obiettivo di Olivelli è quello di redimere «in un senso cristiano, quello che stava nascendo sotto il segno della croce uncinata»[8] . Il primo bersaglio è il concetto di razza. Olivelli paragona il rapporto fra razza ed umanità a quello fra corpo e spirito. La razza è l’insieme delle caratteristiche biologiche che, sebbene influiscano sull’elemento psicologico e spirituale, sono da quest’ultimo plasmate ed indirizzate. Da qui il bisogno di un’unità europea, una nuova architettura di popoli contro l’invasione dello spirito tedesco.
Ben si può vedere, allora, come l’Olivelli fosse dilacerato nel suo rapporto col fascismo, ma il suo impegno attivo gli impediva qualsiasi indecisione: «meglio compromettersi, ma essere utili, che puri e inutili»[9], sempre in piena adesione alla realtà concreta, fino all’accettazione della guerra, che non si traduce mai, però, in volontà di guerra. Dice bene Caracciolo quando sostiene che «nella guerra il giovane vedeva più quel che essa chiedeva di coraggio e di immolazione a lui, che non quel che comportasse di dolore e rovina all’altro»[10] .
L’andare in Russia è l’ultimo atto di adesione di Olivelli al fascismo. Il distacco dal partito matura lunga una direttrice ben precisa: quella del sentimento religioso. Il cristianesimo non può convivere col fascismo, se per cristianesimo si intende interiorità; e non c’è interiorità senza libertà.
Nelle ragioni del suo distacco, come d’altronde era stato in quelle della sua adesione, Olivelli si riconosce nello spirito della sua generazione: la reazione dell’umanità al disumano fascismo.. Olivelli riconosce l’errore di quest’ultimo nella violazione della libertà come legge della politica e della vita. Non c’è verità senza libertà e la vera libertà è quella alimentata dall’amore, come charitas, che si realizza solo nel rispetto della libertà dell’altro.
[1] A.Caracciolo, Teresio Olivelli , Brescia 1975, p. 179
[2] Teresio Olivelli nasce a Bellaggio il 7 gennaio 1916. Dopo aver frequentato il ginnasio a Mortara ed il liceo a Vigevano si inscrive alla facoltà di diritto e si trasferisce al Ghislieri di Pavia, collegio cui si accede per concorso solo fra i più meritevoli. Caracciolo, proprio qui, come egli stesso racconta nella biografia dedicata all’amico, conosce Olivelli nel 1936.
La vita di quest’ultimo viene divisa dall’Autore in tappe, la prima delle quali , come periodo politico che va dalla fine del ’38 al febbraio del ’41, è contraddistinta dall’adesione di Olivelli al fascismo. La seconda fase è quella del periodo militare, durante la quale egli decide di partire volontario per la guerra; essa dura fino al ’43, anno della disfatta in Russia, che segna il distacco di Olivelli dal fascismo. Al ritorno dalla Russia egli è rettore al collegio Ghislieri. In quegli stessi anni ha inizio il periodo clandestino che vede Olivelli impegnato nelle prime file della Resistenza, per risollevare l’Italia dalle proprie macerie, fino alla cattura e alla prigionia , prima a S. Vittore, poi a Fossoli, per terminare la sua esistenza nei Lager di Flossemburg ed Hersbruck dove muore il 12 gennaio 1945.
[3] A. Franchi, Fedeltà all’uomo contemporaneo. Profilo del pensiero filosofico di Alberto Caracciolo, cit, p. 178
[4] A.Caracciolo, La Resistenza, in «La voce del magistero», 1965, p. 3
[5] A.Caracciolo, Teresio Olivelli , cit, p. 179
[6] A.Caracciolo, Teresio Olivelli, cit, p. 42
[7] op.cit, pp. 43-44
[8] op. cit, p. 72
[9] op.cit, p. 75
[10] A.Caracciolo, La Resistenza, in «Humanitas », XLVI, 1991, p. 777
PER UNA POLITICA UMANA: CARACCIOLO BIOGRAFO DI OLIVELLI
«Richiamare e rifare in sé la sua vita»[1], questo l’obiettivo di Caracciolo nel suo incontro e confronto con Teresio Olivelli[2], tale da rendere la biografia dell’amico martire, autobiografia spirituale e biografia di una generazione. Caracciolo si avvicina ai problemi della sua generazione, quella della Resistenza, ma li coglie in un’«intima vicinanza al cuore dell’esistenza»[3]; nel suo pensiero si traduce il messaggio umanissimo della Resistenza, come moto di ribellione che nasce «da una zona dell’anima più profonda rispetto a quella in cui si aggirano e che attingono le ideologie dei partiti»[4].
L’ideale politico ed umano di Caracciolo trova il suo modello proprio sullo sfondo della «religiosa umanità vivente nell’opera eroica e santa»[5] di Olivelli che diventa per lui guida non solo al suo impegno politico e al suo atteggiamento nei confronti della guerra, ma soprattutto al compito di ricostruzione successivo a quest’ultima.
Nella biografia dedicata all’Olivelli, il primo tratto con cui Caracciolo delinea il carattere dell’amico è quello dell’«uomo d’azione nel senso più alto del termine»[6]. E’ proprio questo aspetto a prevalere sulla sua componente umanistica e a fargli scegliere, nell’ambito degli studi universitari, una facoltà tecnica come quella di diritto che meglio rispondeva «al suo urgente interesse per la società, al suo generoso sentimento di protezione del debole, al suo gusto combattivo»[7].
La vitalità e l’attivismo non rimangono, però, allo stato istintuale ma, indirizzati e domati, diventano volontà, sotto la guida di un saldo impegno morale e di una forte coscienza religiosa, la quale rappresenta l’elemento fondamentale dell’uomo Olivelli. Una religiosità intesa come verità vissuta più che pensata, laddove, per Olivelli, vita significa azione e donazione etica che in lui si esprimono come educazione. La sua è una vera e proprio vocazione, che si viene esprimendo come rettore del collegio Ghislieri, nella sua vita politica, durante la prigionia. Anche nell’ora più terribile, egli non rinuncia a farsi promotore di discussioni politiche e sociali, in uno spirito che lo porta a donare agli altri la sua pur misera razione giornaliera di cibo nel campo di concentramento.
L’adesione di Olivelli al fascismo si capisce alla luce di quanto fin qui analizzato: il suo volontarismo domato ed indirizzato dall’impegno morale, il suo sentirsi membro di una comunità, al di là di ogni solipsismo, nel suo incontro con l’altro, la sua predilezione per gli umili e i sofferenti. È soprattutto il suo cristianesimo, coniugato al suo attivismo, che segna in modo più profondo la sua adesione al fascismo.
Quando, sotto l’influsso della barbarie hitleriana, il nazionalismo degenera in razzismo ed il movimento perde quell’aspetto di liberalità che fino ad allora era riuscito a mantenere, l’obiettivo di Olivelli è quello di redimere «in un senso cristiano, quello che stava nascendo sotto il segno della croce uncinata»[8] . Il primo bersaglio è il concetto di razza. Olivelli paragona il rapporto fra razza ed umanità a quello fra corpo e spirito. La razza è l’insieme delle caratteristiche biologiche che, sebbene influiscano sull’elemento psicologico e spirituale, sono da quest’ultimo plasmate ed indirizzate. Da qui il bisogno di un’unità europea, una nuova architettura di popoli contro l’invasione dello spirito tedesco.
Ben si può vedere, allora, come l’Olivelli fosse dilacerato nel suo rapporto col fascismo, ma il suo impegno attivo gli impediva qualsiasi indecisione: «meglio compromettersi, ma essere utili, che puri e inutili»[9], sempre in piena adesione alla realtà concreta, fino all’accettazione della guerra, che non si traduce mai, però, in volontà di guerra. Dice bene Caracciolo quando sostiene che «nella guerra il giovane vedeva più quel che essa chiedeva di coraggio e di immolazione a lui, che non quel che comportasse di dolore e rovina all’altro»[10] .
L’andare in Russia è l’ultimo atto di adesione di Olivelli al fascismo. Il distacco dal partito matura lunga una direttrice ben precisa: quella del sentimento religioso. Il cristianesimo non può convivere col fascismo, se per cristianesimo si intende interiorità; e non c’è interiorità senza libertà.
Nelle ragioni del suo distacco, come d’altronde era stato in quelle della sua adesione, Olivelli si riconosce nello spirito della sua generazione: la reazione dell’umanità al disumano fascismo.. Olivelli riconosce l’errore di quest’ultimo nella violazione della libertà come legge della politica e della vita. Non c’è verità senza libertà e la vera libertà è quella alimentata dall’amore, come charitas, che si realizza solo nel rispetto della libertà dell’altro.
[1] A.Caracciolo, Teresio Olivelli , Brescia 1975, p. 179
[2] Teresio Olivelli nasce a Bellaggio il 7 gennaio 1916. Dopo aver frequentato il ginnasio a Mortara ed il liceo a Vigevano si inscrive alla facoltà di diritto e si trasferisce al Ghislieri di Pavia, collegio cui si accede per concorso solo fra i più meritevoli. Caracciolo, proprio qui, come egli stesso racconta nella biografia dedicata all’amico, conosce Olivelli nel 1936.
La vita di quest’ultimo viene divisa dall’Autore in tappe, la prima delle quali , come periodo politico che va dalla fine del ’38 al febbraio del ’41, è contraddistinta dall’adesione di Olivelli al fascismo. La seconda fase è quella del periodo militare, durante la quale egli decide di partire volontario per la guerra; essa dura fino al ’43, anno della disfatta in Russia, che segna il distacco di Olivelli dal fascismo. Al ritorno dalla Russia egli è rettore al collegio Ghislieri. In quegli stessi anni ha inizio il periodo clandestino che vede Olivelli impegnato nelle prime file della Resistenza, per risollevare l’Italia dalle proprie macerie, fino alla cattura e alla prigionia , prima a S. Vittore, poi a Fossoli, per terminare la sua esistenza nei Lager di Flossemburg ed Hersbruck dove muore il 12 gennaio 1945.
[3] A. Franchi, Fedeltà all’uomo contemporaneo. Profilo del pensiero filosofico di Alberto Caracciolo, cit, p. 178
[4] A.Caracciolo, La Resistenza, in «La voce del magistero», 1965, p. 3
[5] A.Caracciolo, Teresio Olivelli , cit, p. 179
[6] A.Caracciolo, Teresio Olivelli, cit, p. 42
[7] op.cit, pp. 43-44
[8] op. cit, p. 72
[9] op.cit, p. 75
[10] A.Caracciolo, La Resistenza, in «Humanitas », XLVI, 1991, p. 777
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